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6 years ago

THE JAGUAR #01

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In questo numero torniamo ai massimi livelli di automobilismo, ma non in modo convenzionale, e così facendo diamo una spinta allo sviluppo dei propulsori elettrici. Presentiamo inoltre la nostra Jaguar I-PACE Concept, un nuovo rivoluzionario modello prenotabile adesso e pronto alla consegna nel 2018.

che considerava McQueen

che considerava McQueen “un po’ presuntuoso”, ma ne apprezzava la carica di energia messa in campo in un combattimento con coltello su un tetto. Ebbe il suo primo ruolo da protagonista in Blob – Fluido mortale, un film di fantascienza in cui McQueen venne chiamato per affrontare una creatura letale simile ad un’ameba proveniente dallo spazio siderale: “SI TRASCINA! STRISCIA! TI MANGIA VIVO!” Incontrò presto Neile Adams, una giovane attrice sbarazzina di due anni più giovane: “Ciao, sei bella”, le disse lui. “Anche tu sei bello”, rispose lei. Sposatisi nel 1956, ebbero una figlia, Terry, e un figlio, Chad, e il matrimonio durò durante tutti gli anni del suo maggior successo. Nonostante si fosse già guadagnato la fama del piantagrane, si rivelò un padre affettuoso e premuroso, soprattutto una volta che i figli furono abbastanza grandi per andare in motocicletta con lui. Il grande salto arrivò nel 1960 con un film di John Sturges, I magnifici sette, in cui l’attenta caratterizzazione visiva di McQueen portò la star Yul Brynner ad accusarlo di volergli portare via la scena. Tre anni dopo lo stesso Sturges lo scritturò per La grande fuga in cui dimostrò, quando a confronto con un comandante del campo di prigionia, come trasformare un sorriso in un insulto. Steve McQueen sul set a Hollywood nella Jaguar XKSS del 1956 che battezzò ‘Green Rat’ (Topo Verde). La comprò due volte. IMMAGINI: GETTY IMAGES/JOHN DOMINIS 58 THE JAGUAR

MCQUEEN LA JAGUAR XKSS VERDE SCURO DI MCQUEEN ERA LA VERSIONE STRADALE DELLA D-TYPE CHE AVEVA VINTO A LE MANS Il suo sex appeal fu all’apice in Il caso Thomas Crown (1968), mentre sfidava Faye Dunaway alla scacchiera: “Giochi?” “Provami.” Neile lo definiva “un macho che osava essere vulnerabile” e la sua mascolinità trovò la sua miglior espressione al volante di una Mustang GT390 nel selvaggio inseguimento su e giù per le strade saliscendi di San Francisco che costituiva il pezzo forte di Bullitt, nel 1968. Il look, oramai formato, veniva catturato dal fotografo William Claxton, che aveva contribuito a forgiare l’immagine del trombettista Chet Baker, uno dei principali esponenti del genere conosciuto come cool jazz, negli anni ’50. Ma mentre Baker non si era mai sentito a proprio agio alla luce del giorno, o comunque al di fuori di un piccolo jazz club nel seminterrato, McQueen era fatto per stare all’aperto. Lui e Claxton intrapresero insieme molti viaggi su strada, condividendo la passione per le macchine ad alta potenza: in particolare per la Jaguar XKSS verde scuro, la versione stradale della D-Type che aveva vinto a Le Mans. McQueen adorava quella macchina, una delle sedici costruite prima che un incendio allo stabilimento di Coventry ponesse fine alla serie. Venduta nel 1969, la ricomprò nel 1977 per poi tenerla fino alla morte. La serie di successi alla fine degli anni ’60 lo rese grande abbastanza, o perlomeno così pensava lui, per scrivere il proprio copione. Con la sua società, la Solar Productions, progettò il film che si era andato formando nella sua testa durante tutta la sua carriera di corridore. In Le 24 ore di Le Mans, un inno all’esperienza di guida di una macchina da corsa, vennero utilizzate auto vere e piloti veri su un percorso vero. Anche se nel cast c’erano delle belle donne, erano le auto ad essere oggetto di desiderio. I finanziatori di McQueen volevano però una vera e propria storia. Sturges, il direttore iniziale, si tirò indietro frustrato e venne sostituito da uno scrittore di Hollywood scelto dai finanziatori. E quando la sostituzione richiedeva un’ulteriore ripresa, McQueen rispondeva: “Sentite, ve lo dico io quando se ne gira un’altra”. Dopo sei mesi di riprese e dopo aver sforato i 6 milioni di dollari di budget, Le 24 ore di Le Mans, nel 1971, fu un flop al botteghino e costituì un grosso fiasco nella carriera di produttore di McQueen, che tornò ad essere semplicemente una star del cinema. In Getaway! (1972) interpretò la figura dell’ex detenuto Carter ‘Doc’ McCoy in fuga, scioccando gli spettatori con uno schiaffo dato all’attrice Ali McGraw che, per ironia della sorte, sposò in seconde nozze, dopo essersi separato da Neile. Ormai sulla cresta dell’onda, recitò nelle più grandi produzioni dell’epoca, in Papillon (1973) e L’inferno di cristallo (1974). Tuttavia il suo ormai abituale debole per la marijuana aveva ceduto il passo al consumo di cocaina e, off-screen, con i capelli e la barba lunga sembrava un collega di Charles Manson – sulla cui lista dei personaggi da uccidere era comparso anche lui qualche anno prima. Divorziò dalla McGraw nel 1977 e nel dicembre del 1979, mentre stava girando Il cacciatore di taglie, gli venne diagnosticato un tumore. Undici mesi dopo, a seguito di una serie di trattamenti sia convenzionali sia alternativi e dopo aver sposato la terza moglie, l’ex modella Barbara Minty, morì di un attacco cardiaco in un ospedale messicano mentre stava dormendo, dodici ore dopo l’asportazione di un tumore in un intervento chirurgico dal quale i suoi stessi medici lo avevano messo in guardia. “C’è qualcosa che ti tocca da vicino, che ti tocca veramente da vicino?”, gli aveva chiesto Jaqueline Bissett in Bullitt. Sì, che c’era. Nella vita e nella morte, il fascino di Steve McQueen era radicato nella sensazione che dietro quell’aspetto esteriore rissoso, da motociclista, nonché temprato dalle battaglie, si celasse l’anima vulnerabile di un bambino abbandonato, che trascorse la maggior parte della sua vita cercando di ricostruire la semplice gioia di andare in triciclo nella fattoria dello zio. THE JAGUAR 59

 

JAGUAR MAGAZINE

 

Jaguar Magazine celebra la creatività in ogni sua forma: funzionalità esclusive, design raffinati e tecnologie all'avanguardia, per un'esperienza sensoriale unica.

In questo numero scopriremo i maestri brasiliani padri della suggestiva arte della capoeira e gli artisti irlandesi che mescolano tradizioni folcloristiche e nuove culture. Seguiremo inoltre il filo rosso che lega la carta da parati di epoca vittoriana all'iPhone. Per finire, il poliedrico attore e interprete Riz Ahmed ci racconterà perché ha deciso di svelare al mondo la sua vera identità.

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L'effettivo consumo di carburante di una vettura potrebbe differire da quello ottenuto in questi test e queste cifre hanno un valore puramente comparativo.